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JUST ME MYSELF &DIABETES - Storie di Ordinaria Glicemia


STORIE DI ORDINARIA GLICEMIA ...

Racconti e Riflessioni .... a glicemia controllata

Questo spazio vorrebbe pian piano diventare
una sorta di posta pubblica di DNL,
dove divulgare lettere e email ricevute
con racconti o considerazioni personali
sulla nostra vita a glicemia controllata ...
non è un blog, non è un social network ...
è semplicemente un luogo di riflessione e di espressione in libertà

Cristian, presidente DNL

Per vederli pubblicati qui ... scrivete a presidentissimo@diabetenolimits.org

***

... ED UNA NOTTE MI SOGNAI DI BERE L’INTERO MARE
di Pietro Piccolo, DM1, Vicenza
aprile 2009

 

Esordio

 

Non è una battuta, è proprio così: dormivo col mio amico Max  nella  tendina igloo piantata in un campeggio all’isola d’Elba, era un’imprecisata notte di fine agosto 1986, e l’infinita sete che mi tormentava da ormai più di una settimana aveva indotto il mio inconscio a farmi sognare di spalancare la bocca per trangugiare in un solo sorso l’intero mar Tirreno!!!

Durante le ultime notti il sonno non mi durava  più di 2 ore poiché venivo svegliato da un altro istinto mostruosamente impellente:quello di urinare.

Ero costretto ad uscire anche 3 volte per notte per fare le più lunghe e liberatorie pisciate che fin ad allora avessi mai fatto, rischiavo di addormentarmi in piedi col pisello in mano da quanto duravano.

E poi via a bere litri di coca cola, acqua,birra,qualsiasi bevanda mi capitasse per le mani.

Ricordo che una sera mi sono mangiato da solo mezza anguria con dentro un po’ di grappa per aiutarmi a digerire,avevo infatti spesso anche difficoltà di digestione.

Ogni giorno mi sentivo sempre più stanco ed il sonno agitato non mi aiutava a recuperare le forze.

In parte pensavo che la stanchezza fosse dovuta alle nuotate di parecchie ore che facevo tutti i giorni, seguite da grandi camminate in compagnia del mio amico Max.

Inoltre ero appena tornato da 2 settimane di campeggio in Valle d’Aosta con la Giovane Montagna durante le quali avevo veramente camminato un sacco, e  forse non avevo ancora recuperato a sufficienza le energie spese.

Insomma cercavo qualsiasi motivazione per capire lo strano stato fisico in cui mi trovavo,lontano mille miglia dal pensare di non stare bene ( del diabete allora pensavo come ad una malattia degli anziani e mai mi sarebbe passato per la mente che ormai aveva fatto capolino nella mia vita chissà ormai da quanti giorni o mesi).

La vacanza era finita e ricordo che durante il viaggio di ritorno in autostrada ero alla guida della mia mitica peugeot 205, e facevo fatica a leggere i cartelli, inoltre mi sentivo come avessi il cervello imbottito di bambagia e dovevamo fermarci sempre più spesso nelle aree di servizio per permettermi di urinare.

Quanto a bere avevo una bottiglia di acqua ( o era coca cola?!!!) sempre a portata di mano a durante la guida. Dio ha voluto che siamo arrivati a casa “sano(solo Max) e salvi(per fortuna entrambi)”.

Appena mia madre mi ha visto è sbiancata dalla paura e quasi non mi riconosceva: senza accorgermene in due settimane  ero dimagrito di 10 kg arrivando a pesare 68 kg (con un’altezza di 189 cm!!).

Dopo 2 settimane che non mi guardavo allo specchio mi sono impressionato anch’io.

Non  avevo ancora appoggiato i bagagli che mia mamma aveva già chiamato il medico che poco dopo arrivava e mi faceva urinare su uno strano “stecchino da gelato” che in un attimo cambiava di colore assumendo un minaccioso colore verde scuro.

Il verdetto era chiaro ed inequivocabile :era diabete e dovevo immediatamente recarmi all’ospedale!!

Io non ci volevo assolutamente andare perché, a parte le lunghe pisciate e la gran sete, non mi sentivo male da nessuna parte e non mi sentivo malato.

Ma ovviamente a quel punto la mia opinione non valeva più nulla :arrivato al pronto soccorso mi hanno subito dirottato al reparto malattie del ricambio, dove mi hanno trovato una glicemia di 800mg/dl,sì avete capito bene 800,una cifra che allora non mi diceva nulla, ma che ora mi fa rabbrividire e mi fa ritenere di essere stato miracolato: se andavo in coma iperglicemico mentre nuotavo o ancor peggio mentre ero alla guida dell’auto  non sarei certo qui a raccontarvi la mia storia.

Ricordo ancora dopo 23 anni la sensazione di meraviglioso ritorno alla vita che ho provato quando l’insulina del “pancreas artificiale” ha cominciato a distillarsi via endovenosa nel mio sangue durante tutta la prima notte di ricovero, il fantastico piacere di sentire la sete mollare la sua presa su di me, era come mi facessi una doccia rinfrescante all’interno del mio corpo ormai disidratato all’inverosimile, gli occhi  lentamente si snebbiavano facendomi recuperare una visione limpida.

I 15 giorni di ricovero furono  scanditi dai riti di un nuovo cerimoniale che ancora non mi rendevo conto pienamente(anche se mi era stato chiaramente detto subito dai medici) sarebbe diventato  il leitmotiv di tutto il resto della mia esistenza: misurazioni della glicemia e della glicosuria,iniezioni di insulina, spuntini tra un pasto e l’altro,correzioni di ipo ed iperglicemie,esami del sangue tutte le altre cose di cui avete fatto esperienza tutti voi.

Ricordo i volti delle tante persone che venivano a trovarmi all’ospedale:alcuni erano di malcelato sconcerto, altri di compassione,altri di sincera comprensione.

Le due donne della mia vita, mia madre e la mia morosa Giovanna, ebbero due reazioni diametralmente opposte: in mia madre dominavano un completo smarrimento misto a panico ed ansia protettrice, in Giovanna, con cui mi ero messo insieme(allora si diceva così ora non so) da neanche due anni, emersero in quella circostanza le qualità straordinarie che ho avuto la fortuna di poter apprezzare in questi 23 anni di vita insieme:concretezza, forza d’animo, generosità.

In quel momento così difficile capivo di avere al mio fianco “la persona della mia vita”,quella su cui fare completo affidamento,in una sola parola la mia Sposa.

L’esordio del diabete, come ogni evento duro della nostra esistenza, è un banco di prova infallibile per il rapporto tra le persone: scopri se l’amore è vero Amore ,se l’amicizia è vera Amicizia,se la fede è vera Fede.

 

Reazione

 

Dopo le dimissioni dall’ospedale cominciò la mia nuova vita. Non saprei dire cosa stesse succedendo dentro di me, ma sicuramente lo potrei sintetizzare con un’espressione presa a  prestito dalla fisica: “ogni azione provoca una reazione uguale e contraria”.

La consapevolezza di non essere più quello di prima, la paura che le complicanze avrebbero potuto condizionare il mio futuro,l’idea che gli altri mi percepissero come un qualcuno che ha dei limiti,tutto ciò e molto ancora che mi frullava per la testa, compresa l’ansia protettrice di mia madre, fecero sì che crescessero in me  una grande voglia di  reagire ed  un bisogno di “revanche” su tutto e su tutti.

Volevo prima di tutto concludere al più presto i miei studi universitari e cominciai ad affrontare gli esami più di petto di prima,oserei dire con una certa disinvoltura, riuscendo a laurearmi nel giro di 4 anni.

Ma fu nello sport che trovai la mia migliore valvola di sfogo,non era certo una novità per me praticare parecchi sport  con passione ed intensità,solo che gli sport normali non mi bastavano più avevo bisogno di dimostrare a me stesso e agli altri che il diabete non mi limitava.

C’era solo un problema ,la mia ansiomamma.

Ricordo il primo corso di speleologia frequentato quando ancora vivevo con i miei:ad ogni uscita dovevo inventare una scusa diversa per celare la verità ed evitarmi così le prediche ansiose di mia mamma.

Ma fu dopo il matrimonio nel 1992 che mi scatenai in tutte le possibili attività: dovendo Giovanna terminare i suoi studi universitari spesso durante i fine settimana la lasciavo a casa studiare e mi dedicavo alle mie passioni.

In quegli anni ho frequentato corsi di alpinismo, scialpinismo,kayak,yoga, orientering.

Ho voluto vivere emozioni forti provando il rafting, l’hydrospeed (discesa dei torrenti con una specie di bob) il jumping,il parapendio in tandem,l’acquascooter.

Un’altra esperienza mi mancava, quella dell’agonismo, e per provarla quale sport migliore del triathlon che univa i tre sport che ho sempre praticato fin da ragazzino:il nuoto la bici e la corsa.

Cominciai ad allenarmi tutti i santi giorni e mi aggregai ad alcuni amici iscrivendomi alla Rari Nantes di Marostica.

Dopo circa 9 mesi, a fine maggio 1996, mi iscrissi ad una gara sprint (m 750 di nuoto seguiti da  km 20 di bici e da 5 km di corsa) a Vignola, mi piazzai 217mo su 270 con un tempo totale di 1 ora e 23 minuti. Per me fu una grande soddisfazione perché ero riuscito a gestire il mio diabete anche in una situazione per me così nuova ed emozionante come una gara.

A settembre dopo altri 3 sprint decisi che dovevo provare un olimpico le cui distante sono doppie    ( 1500 m di nuoto, 40 km di bici  e 10 km di corsa) e mi iscrissi all’ironlion di Ca’ Savio al Cavallino di Venezia. Mi piazzai 225 su 290 con tempo totale di 2 ore e 34 minuti.

Anche questa volta, al di là del modesto piazzamento, ero contento di avere semplicemente portato a termine una gara che fino a qualche mese prima mi sembrava alla portata di “sanissimi superman”.

Quello che mi piaceva del triathlon era l’atmosfera amichevole dei dopogara, con i pastaparty e le famiglie degli atleti riunite in una grande festa,la possibilità di scambiare due parole anche durante la fase finale della corsa con qualche tuo “avversario”,insomma l’assenza per lo meno per noi delle retrovie di ogni accanimento agonistico,ma il semplice gusto di mettersi alla prova dando il massimo di noi stessi.

Nello stesso anno  ho iniziato anche a correre in montagna unendo due passioni che ho sempre avuto la corsa e la montagna. Ho disputato  la Superpippo (tempo 1 ora e 30 minuti per 1500 mt di dislivello piazzandomi 99mo su 211 partecipanti e l’anno successivo in coppia con un’amica la Trancivetta (tempo 3 ore e 12 minuti).

La cosa che mi dava più soddisfazione era riuscire a percorrere gli stessi tragitti che fino a qualche anno prima mi richiedevano delle ore di paziente cammino zaino in spalle,in tempi più che dimezzati e libero da tutto quell’armamentario di oggetti che mio  padre mi aveva sempre insegnato a  portare in montagna ( scarponi, zaino, borraccia,bussola ecc ecc).

Un’altra passione di quel periodo era prefissarsi ogni anno un passo stradale da percorrere in bici col mio gruppetto di amici,vennero quindi di seguito il passo dello Stelvio,il passo Manghen, il Gavia,il monte Grappa,i 4 passi intorno al gruppo del Sella ed altri ancora.

L’importante era finalizzare i miei allenamenti settimanali ad un obiettivo concreto e realizzarlo in compagnia degli amici.

Una cosa simile facevo per lo sci di fondo:ogni anno a fine stagione dovevo salire sul monte Ortigara, partendo da Campomulo, percorrendo quei 30 km in un tempo di anno in anno più breve.

Ci fu poi la scoperta della mountain bike,un’altra splendida attività che mi permetteva di frequentare l’ambiente montagna in modo diverso. Anche in questo caso mi prefiggevo mete sempre nuove e sempre più impegnative:la salita al rifugio Papa lungo la strada degli Eroi, vari monti dell’altopiano di Asiago,il monte Sommano ed il Novegno ecc ecc.

Anche le vacanze estive con mia moglie sono sempre state improntate all’attività all’aria aperta: nel corso degli anni, prima dell’arrivo dei nostri 2 bei bimbi, abbiamo percorso insieme 3 altevie delle dolomiti (la 1, la 2 e la 4) e 3 ciclovie (una intorno al lago di Costanza e 2 lungo il Danubio).

Già allora amavamo viaggiare con il treno e poi a piedi o in bicicletta.

Anche nell’attività in montagna mi prefiggevo ogni anno qualche meta di soddisfazione.

Quelle che ricorderò sempre con soddisfazione, non tanto per l’eccezionalità della meta (alpinisticamente non difficile) ma perché sono state le prime della mia nuova vita di diabetico sono state la Capanna Margherita sul Rosa  e l’Adamello.

In seguito altre due passioni si riunirono:quella dei viaggi e quella della montagna, portandomi nel giro di qualche anno in Patagonia,fino alla quota di 5400 mt sul Kilimanjaro e di 6300 mt sul Cho Oyu.

 Mi sono accorto che il mio racconto sta diventando un noioso ed infantile elenco di ciò che ho fatto, ma mi rendo anche conto che i viaggi,lo sport e la montagna sono state e sono tuttora le mie valvole di sfogo e di compensazione: mi hanno aiutato ad accettare il diabete, a convivere meglio con esso, a tenere più sotto controllo la glicemia, a riprendermi un po’ di quello che mi era stato sottratto dalla malattia.

 

Svolta nel sociale

 

Dopo circa tre anni dalla diagnosi di diabete cominciò a nascere in me una nuova esigenza:quella di fare qualcosa per gli altri e quasi per caso mi trovai a fondare assieme ad alcuni amici obiettori di coscienza un gruppo di volontariato per persone disabili che quest’anno festeggerà l’ambìto traguardo dei venti anni di vita.

Lo chiamammo “Oltre le mura” per indicare la nostra volontà di abbattere i muri di pregiudizio che spesso ci portano ad isolare le persone disabili. Il nostro servizio consiste nel ritrovarci tutti i venerdì sera ed una domenica al mese per organizzare il tempo libero di ragazzi portatori di handicap,in modo da concedere un po’ di sollievo alle loro famiglie, coinvolgendo i ragazzi in attività ludiche e ricreative.

Mi sono subito reso conto che era più quello che ricevevo di quello che offrivo: la soddisfazione di sentirmi utile agli altri era maggiore dello sforzo in termini di tempo ed energie, l’affetto e la riconoscenza dei ragazzi mi ripagava “settanta volte sette.”

Inoltre mi rendevo conto che ciò che percepivo come un mio handicap (il diabete) non era un granchè se confrontato con tantissime altre situazioni di disabilità ed anzi mi aveva permesso di capire che spesso il cosiddetto handicap è più all’interno che all’esterno di noi,sono più i nostri disagi psicologici e le nostre paure a farci sentire diversi dagli altri ma soprattutto che dobbiamo “uscire da noi stessi” non porre più il nostro IO al centro dell’universo,ma cercare di  dare un senso alla propria esistenza anche proiettandoci al di fuori di noi stessi ponendosi in relazione con gli altri con animo aperto al servizio e all’ascolto.

 Non vorrei che queste mie parole  apparissero  retoriche né vorrei sembrare il buon samaritano della situazione: sono il sincero frutto di un’esperienza concreta di parecchi anni di vita vissuta alla continua ricerca di un qualcosa,che potrebbe essere chiamata “senso della vita”,serenità,pienezza del vivere.

 

Alcune considerazioni finali

 

Ti accorgi un po’ alla volta che la montagna da sola non può riempire il vuoto che senti dentro,fatta una cima ne vuoi subito fare un’altra,le mete agonistiche di per sé non ti appagano mai abbastanza perché c’è sempre un margine di miglioramento,il lavoro è importante e si deve svolgere con passione,ma non è tutto,la famiglia è ciò che conta di più di tutto ma anche quella da sola non basta,il servizio agli altri è meraviglioso ma da solo rischia di diventare anche quello una routine se non ci si rimotiva in continuazione.

Forse la ricetta giusta è un ideale ed armonioso equilibrio tra tutte queste componenti della vita,senza però illuderci di arrivare mai alla pienezza,che non fa parte di questo mondo ma, per chi ci crede, di un’esistenza futura.

Ma forse è proprio questa continua “tensione verso”, questa insaziabile fame di qualcosa di nuovo, questa curiosità verso l’ignoto, che rendono la mia vita, e penso anche quella di tutte le persone con indole come la mia, un’esperienza meravigliosa  ed unica.

Ed è anche tutto questo che ha spinto l’uomo dalle caverne allo spazio, alla ricerca dell’infinitamente piccolo e dell’infinitamente grande,in una parola lo ha spinto al cosiddetto progresso ( non mi addentro qui nell’analisi di questo termine,indagando sulle enormi disparità che ne hanno caratterizzato l’evoluzione,e sul presunto valore aggiunto in termini di felicità che avrebbe comportato, altrimenti si aprirebbe un capitolo infinito).

Se quelli sopra elencati(famiglia,lavoro,sport,volontariato) sono gli ingredienti base della mia ricetta di vita,i migliori condimenti  che utilizzo per insaporirla sono senza dubbio la musica,la lettura,il cinema ed il teatro.

Detto ciò, mi piacerebbe che qualcuno condividesse con me le sue sensazioni ed opinioni,sperando di aver offerto alcuni spunti di riflessione sull’influsso può avere il ciclone diabete sulla vita.

pietro - piccolopietro@libero.it

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Arrabbiata ?

di Michela Del Torchio, DM1
15 dicembre 2008

Arrabbiate. Ho visto tantissime persone affette da diabete arrabbiate. Chi con le case farmaceutiche, chi con coloro che non danno peso alle loro sofferenze, chi con se stesso o con il coniuge, o chi per lui /lei, perché “non capisce”. Arrabbiati, tutti arrabbiati a morte. E la cosa incredibile è che per rimanere arrabbiati ci sono una marea di motivi, una marea di sotterfugi che ci giustificano ogni volta che dovremmo ricordarci di respirare e andare avanti.

Ho 31 anni, il diabete da 17 e non sono arrabbiata. Lo ero, lo ero a 15, a 20 anni ma poi mi sono resa conto che facevo più fatica per cui ho cercato una soluzione.


Ma iniziamo... le case farmaceutiche!

Ho una laurea in sc. Biologiche e la ricerca è stata la mia vita per due anni e mezzo, in tutto questo periodo mi sono occupata di studiare l'ecologia e la fisiologia di tre specie vegetali. Nel frattempo una mia collega stava studiando l'inserimento di un gene nel DNA di un altro organismo, un'altra l'evoluzione delle cellule neuronali prelevate dai topini affetti da Halzaimer. Negli anni di studio le ho accompagnate durante i loro esperimenti, nei laboratori, soprattutto nei giorni festivi. Da loro, e dai miei anni, ho imparato i tempi, la fatica, le frustrazioni e la gioia della scoperta.


A me la ricerca finanziata dalle case farmaceutiche ha permesso di controllare la glicemia in 5 secondi, i primi tempi era questione di 3 o 5 minuti, di poter gestire il mio diabete con un “pancreas esterno” (microinfusore) che risponde perfettamente alle mie esigenze e di poter decidere quanto e cosa mangiare adeguando correttamente la quantità d'insulina. Ma c'è chi pensa che tutto ciò sia poco, sia insufficiente. In 17 anni la mia vita con il diabete è migliorata enormemente, ma per chi vuole trovare scuse tutto ciò è nulla!


Ho lasciato l'Italian Youth Panell, un gruppo di ragazzi con diabete sponsorizzato dalla Novonordisk, perché non mi sono sentita in linea con le loro iniziative, ma da qui a dire che le case farmaceutiche non vogliono che noi “guariamo” mi sembra irreale. La ricerca è riuscita a trapiantare delle isole di Langherans in alcuni pazienti che sembra diano buoni risultati ma i tempi sono ancora lunghi, sia per i limiti che vengono imposti costantemente alla ricerca, sia perché il diabete è una condizione molto differente, da persona e persona, e sta solo al medico curante proporre una soluzione invece di un altra, spendere la propria vita, e le proprie energie, a vivere da “condannato” mi sembra un atteggiamento veramente idiota. Più che altro per rispetto a tutte quelle persone che le nostre opportunità non le hanno.


A noi viene chiesto, per la nostra salute, di essere attenti a ciò che mangiamo (cosa che dovrebbero fare tutti), a svolgere una qualsiasi attività fisica (idem come sopra) e ci vengono dati tutti i materiali per far si che la nostra vita sia “normale”. Anche se questa parola a me fa venire i brividi.

Mangio la Nutella (ma non ne vado ghiotta) e i cioccolatini di Giuliano Melis (alla gianduia, alla nocciola, al caffè), ogni tanto andavo anche da Mac Donald's, poi ho visto lo schifo di ciò che mangiavo e ho definitivamente smesso di consumare certi alimenti, almeno una volta ogni tre mesi vado a cena al ristorante cinese e sotto le feste natalizie adoro fare colazione con il pandoro. Mi piace la panna cotta e il tiramisù, adoro i mignon e le pizzette fatte con la pasta sfoglia, nella mia colazione con manca mai il caffè che prendo senza zucchero, assaporandolo di più... cosa c'è di frustrante nella mia dieta? In più io so quanto zucchero ingerisco, conosco il contenuto di carboidrati e di grassi di molti alimenti e sono consapevole ogni volta di quanto un cibo mi faccia “ingrassare” o meno. E mi controllo, a differenza di tutti coloro che si siedono a tavola e inglobano il cibo solo perché “si deve”, le persone normali insomma, quelli a cui alcuni di noi vorrebbero per forza assomigliare!


Controllo la glicemia circa 5 volte al giorno e necessito di insulina esogena. A volte vado in ipo glicemia, soprattutto quando sopravaluto un alimento, altre in iper per il motivo contrario. La mia vita non è normale, ne sono cosciente e so la fatica che può essere accettare questa condizione ma respiro autonomamente, ho le capacità fisiche e mentali di capire cosa mi fa bene e cosa mi fa male e sono in grado di decidere autonomamente cosa scegliere. Molte altre persone no.

E tutto questo io lo devo alla ricerca scientifica, anche alle case farmaceutiche che dovrebbero e potrebbero certamente dare molto di più e gestire diversamente i rapporti con la classe medica e dintorni, ma sicuramente contribuiscono affinchè la mia vita sia il più “normale” possibile!

E' vero che ultimamente molti dei finanziamenti sono diretti verso lo studio del diabete di tipo II più che del tipo I, è vero che c'è ancora molta confusione soprattutto nei media tra le due condizioni (è per questo che esiste l'associazione DNL, per far capire le differenze tra le due patologie, far confrontare chi le vive e come), ma ripeto vedere in tutto questo un intrigo mondiale o una scusa per non condurre una vita felice mi sembra ipocrita e sinceramente troppo facile!

Mi rivolgo a tutte quelle persone che ancora non hanno trovato la loro strada, fatta di salite, di curve a gomito, di incidenti ma comunque percorribile, di corsa, camminando, in bici, scalando, nuotando, andandoci in canoa, a cavallo o come vi pare...non saremo mai normali, perché non lo è bucarsi un dito per controllare lo zucchero presente o farsi cinque punture al giorno, ma non pensiate che con delle “isole” nuove usciate da tutto questo tram-tram, inizieranno i controlli, magari altre procedure, insomma, la nostra non sarà mai una vita come “gli altri” ma sedermi arrabbiata sulla riva del fiume e aspettare che qualcuno mi dica che “sono guarita” è una perdita di tempo e di energie...non mi sento speciale perché ho il diabete, ma perché tramite il diabete vivo più consapevolmente e so cosa vuol dire non arrendersi mai.

***  

Onda su Onda ...

di Michela Del Torchio
(dic 2007)

di Michela del Torchio

25-28 Dicembre - L'inizio

Il master in comunicazione ambientale che sto seguendo dal 15 ottobre 2007 mi ha permesso di entrare in contatto con il prof. Marco Marcelli, ordinario all'Università La Tuscia di Viterbo nel dipartimento di ecologia Marina.

Ho deciso di fare lo stage presso la sua struttura e spero di rimanerci anche in seguito. Devo seguire tutti i progetti relativi alla comunicazione delle attività del gruppo alla popolazione nazionale e costituire un Ufficio Stampa.

Come primo impiego mi è stato proposto di andare con  il gruppo di ricercatori nei mari della Sardegna, nelle Bocche di Bonifacio, per monitorare la zona in seguito alla deposizione di un cavo elettrico sottomarino da parte dell'ENI.

I monitoraggi si sono fatti nel periodo natalizio.

Partenza da Civitavecchia il 25 dicembre 2007 alle ore 22.30 con il traghetto diretto ad Olbia.

Appena arrivata ho conosciuto i ragazzi del gruppo: Simone, dottore in scienze ambientali, si occupa di modelli matematici relativi soprattutto all'erosione delle coste. Primo impatto ottimo.

Sembra il protagonista di Harry Potter, occhiali quasi tondi e sorriso appena accennato, comunque simpatico, timido, curioso. Mi ha fatto fare il giro del laboratorio.

Poco dopo sono arrivati Alice e Riccardo. Lui l'ho sentito salire dalla rampa delle scale come un elefante, rumoroso, caciarone (come si dice a Roma) ma dolcissimo, lei semplicemente bellissima. Sembrava che si conoscessero da anni, anzi credevo addirittura che stessero insieme invece si sono conosciuti al campionamento precedente una settimana prima. Ultimo ad arrivare il prof.

Il viaggio è stato piacevole ma ho dormito poco e male a causa sia del freddo che dell'ansia di non svegliarmi in tempo per scendere dal traghetto.

Alle ore 5.30 del 26 siamo sbarcati a Olbia. Appena salita in macchina mi sono addormentata per svegliarmi all'arrivo a Viddalba (SS). Il tempo di sistemare gli strumenti nei residence affittati per l'occasione e ci siamo recati a Porto Torres, nel Golfo dell'Asinara, dove era attraccato il peschereccio che ci avrebbe accompagnato in mare. Abbiamo controllato gli strumenti e tornati al residence abbiamo sistemato e preparato tutto per gli esperiemnti del giorno successivo.

Il 27  appena arrivati ci hanno annunciato che non avevamo l'autorizzazione a lasciare il porto. Le navi oceanografiche sono sottoposte a molti controlli riguardanti il tragitto che seguiranno, le posizioni di campionamento e via dicendo, sono navi ferme in mezzo al mare che non possono muoversi, per cui d'intralcio. I loro movimenti devono essere autorizzati da tutto lo Stato!

Il 28 ci siamo alzati all'alba ma mentre ci recavamo verso il mare vedevamo che il tempo peggiorava, sui margini del lungo mare abbiamo visto le “pecorelle” (onde che si formano a largo) che indicano un mare molto mosso e un vento poco socievole.

27 e 28 dicembre buttati, ci siamo consolati entrambi i giorni sistemando gli strumenti, guardando il V film di Harry Potter, giocando a Ping-Pong, discorrendo su mare, montagna, tecnologia, storia, filosofia, sesso, amore, geografia, matematica, scienziati famosi e loro avventure, scrittori di diverso genere.

 

29 Dicembre - Finalmente in mare

Il 29 avevamo l'autorizzazione.

Sveglia alle 6.00, alle 8.00 eravamo in porto. Durante il tragitto dal residence al porto tutti guardavano le cime degli alberi: se ondeggiano vuol dire che il vento a largo è forte, per cui non si può lavorare. Arrivati abbiamo fatto la seconda colazione e ci siamo recati verso la barca. Mentre mi avvicinavo guardavo: mare leggermente mosso forza 3, 100 cm l'altezza delle onde.  Si esce. Il cielo era rosso, tipico dell'alba, i gabbiani intorno ai pescherecci già rientrati e i cormorani che giocavano tra le onde. Abbiamo iniziato a caricare in barca il necessario per l'uscita. Ci si muoveva sincronizzati, con la precisione e la meticolosità che ad un occhio inesperto può sembrare pazzia ma non al mio. Ho ripreso e fotografato tutto, ero e sono la documentarista del gruppo. Durante gli anni di tesi ho imparato a controllare e ricontrollare tutto fino allo sfinimento, ad essere certa che tutto quello che deve essere in un determinato punto sia in un determinato punto, ad osservare e riguardare. Quando si esce a fare esperimenti tutto deve andare liscio come l'olio, se qualche cosa non funziona si perde una giornata di campionamento e a noi non è concesso. Questa è la ricerca.

Faceva freddo ma il mio abbigliamento da montagna marcato Montura ha superato egregiamente la prova mare. Avevo indosso la maglietta termica, la dolcevita, il maglione di lana con cappuccio e il Pile (Montura appunto). Sopra l'anti vento (sempre Montura) termosaldato. Durante l'uscita dal porto mi sono sistemata a prua, lasciandomi dondolare dalle onde che s'infrangevano sulla barca e permettendogli di spruzzarmi in faccia il sapore del mare. Fino a che non sono stata lavata da un'onda che suppongo si sia divertita a bagnarmi fino dentro le ossa. Ovviamente avevo al collo la telecamera.

Sistemata l'oggetto del mio lavoro in un fantastico sacchetto di plastica mi sono asciugata e ho osservato. Avevamo tanti gabbiani intorno che aspettavano il pesce dal nostro peschereccio, le nuvole che hanno seguito tutta la nostra giornata e il sole. Il prepotente e forte sole del mare d'inverno: caldo e romantico. Quando si lasciava coprire dalle nuvole tutto diventava freddo, non grigio, scuro o buio ma solo freddo. Questo è il bello degli ambienti estremi (il mare a largo d'inverno e le vette delle montagne) il sentire dentro le proprie viscere la sensazione che non siamo artefici di nulla, che tutto scorre, indipendentemente dalle nostre azioni, scelte, decisioni. Il pianeta che occupiamo è esistito e continuerà a farlo con o senza di noi, non siamo immortali e nemmeno perfetti, dobbiamo solo amare e vivere fino in fondo ogni sensazione, nel rispetto totale degli altrui sistemi. Tutto torna indietro!!

Tutta questa disquisizione filosofica per arrivare a dire che sono stata malissimo: ho rischiato per ben tre volte di vomitare e per bloccare lo stimolo ho mangiato le gallette salate offertemi dai marinai. Il tutto condito dalla certezza che presto avrei rimesso.

La giornata è passata così, tra esperimenti, Alice che lasciava il posto di lavoro per “osservare i pesci” e al suo rientro era sempre accompagnata da osservazioni circa il colore che aveva assunto.  Durante il viaggio verso casa avevamo davanti a noi il rosso del tramonto, alle nostre spalle il nero che avanzava. I colori del cielo e del mare durante la notte si confondono, sparisce la linea di divisione tra aria e acqua e sembra che da un momento all'altro possa uscire dagli abissi chissà quale mostruosa creatura, trascinarti sui fondali e farti diventare parte del fantastico mondo sottomarino. Unica speranza a cui aggrapparsi il sole che svanisce davanti.

Siamo rientrati al porto che era già buio. A terra abbiamo sistemato tutto il materiale e siamo andati, in malo modo, a mangiare pesce. Il nostro aspetto non era ne rassicurante ne bello, ma la serata è stata piacevole e piena di diserzioni che hanno toccato Michelangelo, Leonardo, Raffaello, Pitagora, Archimede, Gauss, Catullo, Socrate, Picasso, gli USA, Prodi e per par condicio Berlusconi, la Roma (squadra di calcio), le donne e gli omosessuali. Forse ho dimentica qualche cosa. A casa è stata una gara a chi occupava per primo il letto, senza doccia, senza buonanotte, tutto girava e ha continuato a farlo per il giorno successivo ma la sensazione di essere tornata a fare ricerca e comunicarla, o provare a farlo, a chi non ne sa nulla, star male per salvaguardare un ecosistema sul declino (il mare Mediterraneo) mi ha dato la forza e la voglia di continuare a lottare per “Gaia” e essere certa di aver conquistato dei valori che in questa epoca pochi hanno.

In barca quando c'è mare (cioè quando il mare è mosso) bisogna mangiare salato e secco e non si deve bere. Con queste premesse il diabete ha fatto quello che voleva. Ho fatto pochissima insulina perché ho mangiato poco ma avevo paura di rimetterlo da un momento all'altro e fare dei boli  avrebbe significato rischiare IPO serie. Ho preferito fare un bolo a terra per correggere un bel 266 mg/dl  ma poteva andarmi decisamente peggio. Grazie al microinfusore ho evitato glicemie più alte. Ho aumentato la basale, portandola al perido premestruale così ho potuto mangiare senza fare boli anche se il risultato non è stato perfetto.

Primo giorno di mare andato.

 

30 Dicembre - Il battesimo

La mattina di domenica ci siamo alzati con più calma. Dovevamo campionare solo quattro stazioni per cui ce la siamo presa comoda.

In porto tirava un  vento forte e tutti i pescherecci di rientro ci dicevano che a largo cambiava velocemente. Si parte lo stesso. In breve abbiamo raggiunto i punti di campionamento e abbiamo iniziato a calare le sonde e fare i prelievi. Mancava Riccardo che era andato a prendere uno strumento che ci eravamo fatti arrivare da Civitavecchia a Olbia. Ho fatto il jolly della situazione: ho aiutato a calare la sonda chiamata Firenze, per la sua provenienza, ho fatto le analisi dell'acqua prelevata insieme ad Alice e ho cercato anche in questa giornata di non vomitare. Mare forza 4 e vento forza 7! Il peschereccio rollava (movimento da destra a sinistra) e beccheggiava (movimento su e giù della prua), sembrava di stare su un gioco dei parchi divertimento, quelli che ti sballottano da una parte all'altra senza permettere all'orecchio di capirci nulla. Chissà perchè la gente paga per farsi così del male! Il posto migliore per evitare di vomitare o di star male in generale è al centro della barca. Arrivavano spruzzi da tutte le parti, imbarcavamo acqua ad ogni movimento, toccavamo il mare con i bordi dell'imbarcazione. Onde di 250 cm.

Ho resistito fino alla fine, mangiando del pane Carasau, salato e secco. A differenza del giorno precedente ho diminuito la basale e fatto piccoli boli ad ogni boccone, risultato migliore: 78mg/dl due ore dopo l'imbarco e 98 mg/dl a terra. Ho monitorato poco la glicemia perchè non riuscivo a fare i controlli. Ogni volta che mi fermavo per misurare dovevo scattare da qualche parte e aiutare qualcuno, visto che stavamo in serie difficoltà ho preferito affidarmi alle “sensazioni”. Ed è andata bene! Il problema serio è la disidratazione che tende a far salire la glicemia nelle ore successive e infatti prima di cena avevo 240 mg/dl, solo due ore dopo aver toccato terra. Ovviamente a tutto ciò va da aggiungersi che non ho potuto fare alcun tipo di sport. La sera era improponibile andare a correre dopo una giornata in quelle condizioni e comunque i luoghi dove avrei potuto farlo non erano l'ideale per farlo da sola.

Ho navigato su un mare un tantino arrabbiato. Il comandante era seduto dentro la cabina e si asciugava il sudore dalla fronte, il marinaio di bordo malediceva ogni onda chiedendo via radio quale fosse la traiettoria migliore per evitare certe situazioni. Dall'altra parte si sentivano risate che dicevano che maestrale e ponente (venti provenienti rispettivamente da Nord-Est e Est) rendono impossibile la navigazione, ma noi eravamo lì.

Forse è stata la mia ignoranza o la mia eccessiva fiducia nelle persone che ci portavano ma non ho mai temuto per la nostra imbarcazione, a differenza dei miei compagni. Nonostante facessero muovere la barca in tutte le direzioni non ha mai maledetto nè il mare nè il vento, li sentivo come sto io adesso: confusi. Un po’ arrabbiati con tutti ma non così tanto da ferire mortalmente, sinceri perchè quel giorno volevano esprimere la loro grandezza senza nessuno intorno.

Ho ricevuto il mio battesimo, in una giornata di vento, sole fortissimo e mare mosso, ho sentito il dolore del pianeta nel sale che mi arrivava sulla faccia e ho sentito la mia immensa forza nel trovarmi in un ambiente che non conoscevo, ostile, ma completamente a mio agio!

“Chi lascia la strada vecchia per quella nuova sa quello che lascia ma non sa quello che trova”...qualcuno mi spieghi cosa dovrebbe esserci di male nel rendersi conto che alcune strade sono troppo strette per noi e decidere di buttarsi su altre nuove...direi che la paura dell'incerto ci ha fermato fin troppo!

 Michela Del Torchio mik@diabetenolimits.org